Piacere, mi chiamo Alexa
Abbiamo delle relazioni con le intelligenze artificiali, dei rapporti quotidiani fatti di dialogo, condivisione e comunicazione. Quanto somigliano a quelli umani?
“Ciao, piacere, mi chiamo Tizio.”
È così che inizia (quasi) ogni relazione. Con un nome.
Ed è così che abbiamo imparato a parlare anche con loro: Alexa, Siri, Cortana, Google (ok, lui ha scelto di chiamarsi come il motore di ricerca, ma vabbè).
Coltiviamo, a tutti gli effetti, delle vere e proprie relazioni con le intelligenze artificiali, dei rapporti quotidiani fatti di dialogo, condivisione e comunicazione.
Ma che tipo di rapporti sono? Somigliano a quelli “umani”?
Breve premessa
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Partiamo dai nomi
Se ogni relazione inizia da un nome, quelli delle intelligenze artificiali sono legati a precisi fattori tecnici e anche ad alcune curiosità.
Alexa è un richiamo alla Biblioteca di Alessandria, una delle più grandi raccolte di conoscenza dell’antichità. Contiene il suono “x” perché è poco comune nei nomi propri, e quindi facilmente riconoscibile dal software di riconoscimento vocale.
Diverso il discorso di Siri che è un nome norvegese che possiamo tradurre con qualcosa come “bella vittoria”. Il cofondatore del progetto originale, Dag Kittlaus (norvegese), aveva pensato di chiamare così la sua futura figlia… che poi è nata maschio.
Cortana deriva da un personaggio dell’universo di Halo, il videogioco di Microsoft, dove Cortana è un’intelligenza artificiale potente e carismatica. È stato un omaggio “nerd” molto voluto.
E Google Assistant…beh è Google che ha voluto puntare più sulla funzione che sull’identità.
Questi nomi sono pensati per farsi ricordare. Per entrare con facilità nelle nostre vite e nel nostro linguaggio. E infatti, ogni “Ehi Siri” è un piccolo rituale di riconoscimento. E forse anche un po’ affetto.
Convivere con le voci nella testa (e nei device)
Si stima che entro il 2030, l'80% delle persone interagirà quotidianamente con robot intelligenti. Una trasformazione che è già in atto e che fa riflettere sull’idea di “relazione” e “rapporti”, due concetti da sempre associati agli esseri viventi.
Siamo sempre più propensi non solo a chiedere cose alle IA, ma anche a parlare e confrontarci con loro.
Durante il giorno li ringraziamo, ci scusiamo, a volte li insultiamo (perché non hai capito COSA TI HO DETTOOO). Ci sembra di trattarli come esseri umani, come nostri pari. Ma non è mai un rapporto biunivoco.
Perché loro, a noi, non ci chiedono niente. Sono silenziosi e servizievoli, ci ascoltano sempre e parlano solo se e quando interpellati.
È davvero un rapporto quello dove si riceve senza mai dare?
A proposito
Non so se lo sapete, ma Alexa parla anche in dialetto. Può risponderti in romanesco o in bolognese, citando piatti tipici e modi di dire.
Qualcuno poi, ha usato Siri per matchare su Tinder, già.
E, tornando ai nomi delle IA, Eliza è considerato il primo chatbot della storia, creato da Joseph Weizenbaum nel 1966. Il nome è ispirato a Eliza Doolittle, protagonista della commedia "Pigmalione" di George Bernard Shaw, e la sua funzione era quella di simulare delle conversazioni psicoterapeutiche. La cosa che sconvolse di più, in primo luogo il suo stesso inventore, fu il fatto che la gente parlava con Eliza pensando davvero di parlare con un essere umano.
Parliamone
Qual è la cosa più assurda che hai chiesto all’AI?
Ci facciamo una chiacchierata?
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