Quando gli algoritmi ci servono tutti lo stesso piatto
La cultura è diventata un menù degustazione dove ogni portata sa di pollo
Sono sicuro che tu e il tuo amico o la tua amica che vive a 800km di distanza da te ieri abbiate guardato lo stesso video su TikTok.
Non solo, avete ascoltato la stessa canzone su Spotify, ordinato lo stesso libro su Amazon e persino salvato la stessa ricetta su Instagram.
Coincidenza? Nah.
La verità è che viviamo tutti nella stessa bolla culturale, servita calda e fumante dagli algoritmi che decidono cosa dobbiamo vedere, ascoltare, comprare e persino pensare. E questa bolla, che dovrebbe essere il nostro personalissimo universo di interessi, in realtà è uguale per tutti.
Benvenuti nel Filterworld, il mondo filtrato che Kyle Chayka descrive nel suo libro: un posto dove la diversità culturale è stata sostituita da una massa di contenuti tutti uguali, ottimizzati per l'engagement.
Breve premessa
La smarTletter è la newsletter che racconta come evolve la comunicazione dal punto di vista di chi la fa ogni giorno. Se ti interessa saperne di più su chi siamo e sul nostro lavoro di agenzia e consulenza, saremo felici di raccontartelo!
Il grande livellamento
Gli algoritmi non sono cattivi. Anzi, nascono con le migliori intenzioni: aiutarci a scoprire cose nuove che potrebbero piacerci, farci risparmiare tempo nella ricerca e personalizzare la nostra esperienza. Il problema è che per fare questo devono trovare dei pattern, delle regolarità nei nostri comportamenti.
E qui casca l'asino.
Perché per trovare questi pattern, gli algoritmi finiscono per appiattire tutto verso il denominatore comune più basso. Quella canzone che piace a te, a me e a milioni di altre persone? Probabilmente ha una struttura molto specifica, un ritmo che il nostro cervello elabora facilmente, parole che risuonano con emozioni universali.
Ma questo processo di ottimizzazione ha un effetto collaterale devastante: uccide la casualità che ci faceva scoprire cose completamente inaspettate mentre cercavamo altro.
La sindrome del caffè latte
Kyle Chayka la chiama "Airspace": quella sensazione di trovarsi sempre nello stesso posto, che sia un café a Milano, New York o Tokyo. Stesso design minimale, stesse piante grasse, stesso menù con avocado toast e flat white.
Ma l'Airspace non è solo fisico, è soprattutto digitale. I nostri feed si assomigliano tutti. Instagram ha creato un'estetica globale che ha cancellato le differenze culturali locali.
E non parliamo solo di social. Anche Netflix ci propone sempre le stesse tipologie di serie TV (quante volte vi è uscito "perché hai guardato Stranger Things”?).
Risultato? Stiamo tutti guardando, ascoltando e leggendo le stesse cose. La cultura si è trasformata in una catena di montaggio che produce contenuti standardizzati per un pubblico globale che reagisce in maniera prevedibile.
Quando l'efficienza uccide la creatività
L’algoritmo di TikTok riesce a prevedere cosa ci farà ridere meglio di quanto facciamo noi stessi. È impressionante, ma anche terrificante.
Perché questo significa che la creatività si sta adattando agli algoritmi, invece che il contrario. I creator di contenuti non si chiedono più "cosa voglio esprimere?" ma "cosa piace all'algoritmo?" e l'algoritmo premia sempre le stesse cose: contenuti facilmente digeribili e immediati che generano engagement veloce.
Il risultato è una cultura sempre più omogenea. È come se avessimo messo la cultura a dieta, eliminando tutto quello che è complesso, sfidante o semplicemente diverso.
E spesso non ce ne accorgiamo nemmeno. Anzi, ci sentiamo soddisfatti perché tutto quello che ci viene proposto ci piace davvero. Gli algoritmi sono diventati così bravi che la prigione dorata che hanno costruito per noi è comodissima.
La nostalgia dell'imprevisto
Hai presente quando accendi la radio e ti può capitare di tutto?
Ora abbiamo playlist perfette, calibrate sui nostri gusti, che non ci deludono mai. Ma non ci sorprendono nemmeno più. Abbiamo scambiato la possibilità di rimanere delusi con quella di rimanere stupiti.
Stiamo vivendo in un mondo sempre più prevedibile, dove l'algoritmo ha sostituito il caso. Ma il caso, quella bellissima imprevedibilità della vita, è una parte fondamentale dell'esperienza umana.
Resistere è futile?
Allora cosa facciamo? Buttiamo il telefono e torniamo a comprare CD nei negozi di musica? (Ammesso che esistano ancora.)
Forse la risposta non è così drastica. Forse basta essere più consapevoli. Rendersi conto che quello che vediamo online non è "il mondo", ma una versione filtrata e ottimizzata del mondo. E ogni tanto, consapevolmente, uscire da quella bolla.
Significa cercare attivamente cose che non ci aspettiamo di trovare. Leggere libri scelti a caso, ascoltare radio locali quando viaggiamo, entrare in librerie indipendenti invece che ordinare sempre su Amazon. Significa resistere alla comodità dell'algoritmo e abbracciare l'incertezza della scoperta.
Non sarà sempre piacevole. Anzi, spesso sarà frustrante. Ma almeno sarà nostro.
Parleremo di algoritmi, del libro di Kyle Chayka e dell’appiattimento culturale sul palco di Dixit.
Dixit è un festival di comunicazione alla sua terza edizione di cui siamo orgogliosamente media partner.
Da domani fino a domenica, diversi professionisti e creator si alterneranno sul palco per parlare della nostra società attraverso i social e la comunicazione. Insieme a noi, sul palco ci saranno anche Caffè Design, Luca Cena, Michele Molteni, Dave Legenda, il nostro Lorenzo Ferrari e molti altri.
Potete scoprire di più sui canali social di Dixit e prenotare un posto cliccando sul pulsante qui sotto.
Ci facciamo una chiacchierata?
Siamo un'agenzia di comunicazione che realizza progetti di formazione, comunicazione e marketing per aziende B2B e B2C. Se hai un progetto o cerchi dei professionisti a cui affidarti, e vuoi conoscerci, ti invitiamo a fare una call insieme cliccando sul bottone qui sotto!