Il sud non è un mood
La romanticizzazione della vita lenta tra turismo, storytelling e responsabilità
In un mondo che corre veloce, rallentare è il nuovo lusso. Programmiamo weekend di digital detox in masserie ristrutturate, ceniamo in osterie con tovaglie a quadri, seguiamo su Instagram quelli che si svegliano con la luce naturale e fanno yoga davanti al mare, rigorosamente in una baia del Sud. Perché, diciamolo, la vita lenta si fa meglio all'ombra di un ulivo secolare o su un balcone vista Vesuvio.
Il problema è che questa lentezza che idolatriamo non ci appartiene più davvero. La osserviamo, la fotografiamo, la consumiamo ma non la viviamo.
C'è chi si prende una pausa dal burnout e prenota un volo per Napoli per "ritrovare sé stesso tra le stradine dei Quartieri Spagnoli". Poi c'è Annalisa Sirignano, attivista ed esperta di comunicazione, che nei Quartieri ci vive davvero. Non quelli da cartolina, ma le due ultime strade dove (per ora) non arrivano turisti in massa.
Per scrivere questa newsletter ho chiacchierato con lei proprio perché la differenza tra chi cerca la lentezza e chi la vive è molto semplice: per i primi è una vacanza, per i secondi è la quotidianità.
Breve premessa
La smarTletter è la newsletter che racconta come evolve la comunicazione dal punto di vista di chi la fa ogni giorno. Se ti interessa saperne di più su chi siamo e sul nostro lavoro di agenzia e consulenza, saremo felici di raccontartelo!
Romanticizzare il Sud: istruzioni per l'uso
Il Sud Italia ha una branding problem al contrario: è diventato troppo cool. Sui social media si è trasformato in un'estetica perfetta fatta di limoni appesi, nonne che stendono i panni, pescatori che riparano le reti al tramonto. Una scenografia dove la povertà diventa pittoresca e la mancanza di servizi si trasforma in "autenticità".
Il fenomeno non è nuovo, ma i social lo hanno amplificato esponenzialmente. Basta cercare hashtag come #vitalenta o #mediterraneanlife per trovare migliaia di contenuti che vendono una versione edulcorata del Meridione. Influencer nordeuropei che si trasferiscono in Puglia per vivere "la dolce vita” o guru del benessere che predicano la filosofia del "meno è meglio" dalle terrazze di Positano.
Ma dietro ogni foto Instagram perfetta c'è una realtà complessa. Quelle stesse piazzette pittoresche spesso mancano di servizi essenziali e quella vita lenta non è sempre una scelta ma a volte una necessità. Quando romanticizziamo il Sud, rischiamo di trasformare le difficoltà strutturali in folklore e i problemi sistemici in charme rustico.
Cosa succede quando arriva il turismo di massa
Napoli è il caso di studio perfetto. Negli ultimi cinque anni, la città ha vissuto un boom turistico senza precedenti. I Quartieri Spagnoli, che fino a poco tempo fa erano considerati "pericolosi" dalle guide turistiche, oggi sono diventati un must-see. Annalisa lo vede ogni giorno:
“C’è questa limonata che adesso vendono nei Quartieri, ‘a cosc’ apert’, che dovrebbe essere una tradizione: reagisce con il bicarbonato e strabocca, costringendoti ad aprire le gambe per berla. Peccato che di tradizionale non ha nulla e io non l’ho mai bevuta nella mia vita. È una trovata per sopravvivere al turismo e alla gentrificazione.”
Il paradosso è evidente: il turismo che cerca l'autenticità finisce per distruggerla. Quando migliaia di persone vanno in un posto per fotografare "la vita locale", quella vita locale smette di esistere e si trasforma in performance. I residenti diventano comparse involontarie di un set cinematografico permanente e anche il ventaglio di proposte e attività commerciali cambiano.
Il fenomeno ha un nome preciso: gentrification turistica e non riguarda solo Napoli.
La trappola dell'esperienza autentica
Il marketing del turismo esperienziale ha creato un nuovo tipo di viaggiatore: quello che vuole "vivere come un local". Dormire in case di pescatori, mangiare nelle trattorie "dove non vanno i turisti", partecipare alla vendemmia, imparare a fare la pasta con la nonna del paese.
Ma l'autenticità non si può comprare. O meglio, nel momento in cui la metti in vendita, smette di essere autentica.
C'è qualcosa di problematico in questo desiderio di autenticità. Spesso nasconde una forma sottile di colonialismo culturale: l'idea che la "vera vita" esista solo nei posti più poveri, più lenti, più lontani dal nostro mondo. Come se la modernità avesse corrotto tutto e solo nel Sud "incontaminato" si potesse ritrovare una dimensione umana perduta.
Ma questa visione è intrinsecamente classista. Per chi vive davvero in questi luoghi, la lentezza non è sempre una scelta filosofica ma spesso il risultato di una serie di mancanze.
Ma allora non si può più viaggiare?
Non si tratta di smettere di viaggiare o di demonizzare chi cerca esperienze diverse. Il punto è come lo facciamo. Possiamo scegliere di essere turisti responsabili o turisti inconsapevoli.
Il turismo responsabile inizia dalla consapevolezza. Riconoscere che il nostro desiderio di lentezza e autenticità può avere conseguenze sui luoghi che visitiamo. Informarsi sui problemi locali, sostenere l'economia locale in modo consapevole, rispettare gli spazi e i ritmi di chi ci vive davvero.
Significa anche accettare che l'esperienza perfetta per Instagram non esiste, o meglio, che non dovrebbe essere il nostro obiettivo. Viaggiare per conoscere, non per consumare. Essere curiosi, non invasivi. Portare qualcosa di positivo, non solo portare via foto e ricordi.
La vita lenta richiede impegno
Forse il punto centrale è proprio questo: la vera vita lenta non è una fuga dalla realtà ma un impegno con la realtà. Non è il sud, è ripensare il proprio stile di vita ovunque siamo.
Vivere lentamente significa fare scelte consapevoli e accettare che la lentezza richiede privilegi: tempo, denaro, sicurezza economica.
Chi vive al sud sa che la vita lenta non è sempre una scelta. A volte è necessità, a volte è resistenza, a volte è sopravvivenza. Ma sa anche che, quando è una scelta, è una scelta politica.
Il Sud non è un mood e non è nemmeno un antidoto temporaneo ai nostri problemi esistenziali. Merita rispetto, non romanticizzazione. Merita sostegno, non consumo.
A proposito
Annalisa ci consiglia La Restanza di Vito Teti: un libro che racconta l’importanza di chi resta, in un mondo che ci spinge sempre ad andare.
E per chi pensa ancora che “Napoli sia bella, ma la tengono male”, consiglio una chiacchierata con chi ci vive. È gratis.
Parliamone
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Condivido. Da pugliese che è stata costretta ad emigrare, fa ancora più rabbia vedere questo fenomeno